La pubblicazione del documento “Il Catasto Onciario di Fabrizia” è stato realizzata a cura del compianto scrittore Sharo Gambino nel 1991 su incarico del sindaco dell’epoca Geometra Antonio Salvatore Minniti. L’occasione fu la ricorrenza del 400° anniversario della nascita di Fabrizia, per la prima volta celebrato, e la pubblicazione costituì la forma di celebrazione che, assieme agli importanti studi del nostro compaesano scrittore Franco Carè, sancì definitivamente la ricorrenza, prima d’allora non molto considerata. Il libro ci ripropone i documenti ufficiali redatti in occasione del “Catasto onciario” formato nel 1746 per rilevare i possedimenti e le attività dei fabriziesi. Per la sua redazione i cittadini dovevano dichiarare tutti i beni che possedevano a cominciare dalle attività, mestieri o professioni che svolgevano. Si trattò di una vera e propria dichiarazione che oggi chiameremmo “dei redditi” ma occorre tenere presente che la peculiarità dell’allora “rivela” riguardava tutta al completo la condizione sociale, economica, produttiva e la conseguente capacità contributiva del cittadino, tenuto conto dei “pesi da dedursi”. Si dichiarava tutto a partire dalla composizione familiare la quale già di per sé come capacità lavorativa o “industria” costituiva un basilare elemento di contribuzione. La “testa”, invece, costituiva una “tassa famiglia” ed era una quota fissa, dalla quale venivano esentate solo alcuni cittadini in determinate condizioni e, cioè, le donne nubili (c.d.”vergini”) e le vedove a capo di un nucleo familiare nonché gli ultrasessantenni. L’osservazione dei risultati di tale censimento risulta molto interessante per chi voglia cimentarsi nel trarre alcune considerazioni sulle persone che abitavano la nostra terra, potendo osservare molte curiosità, analogie su cognomi e nomi che tuttora risultano presenti, ma anche molti nomi e cognomi scomparsi dalla nostra più recente composizione anagrafica cittadina. Certo interessante sarebbe poter scoprire il perché, alcuni cognomi, pur noti nel resto della Calabria o dell’Italia, siano invece scomparsi da questo paese. Ma nell’impossibilità attuale di fare ciò, al momento ci accontentiamo di trarre qualche modesta considerazione; anche perché per un eventuale studio sull’esistenza o meno di alcune discendenze, occorrerebbe allargare l’indagine ai paesi di Mongiana, Nardodipace e le piane di Prateria, oltre che a quelli di Grotteria, Stilo, Serra San Bruno e dintorni dove la discendenza potrebbe ancora rilevarsi. Ci prospettiamo quindi di osservare solo qualche peculiarità ed alcune analogie.
I fabriziesi di seguito elencati risultano in cima alla lista come capacità contributiva accertata dal catasto onciario:
- Bruno Daniele: con oncie 26 d’industria e 133,10 di beni per un totale di oncie 159,10;
- Bruno Cirillo: con oncie 50 d’industria e 66,10 di beni per un totale di oncie 116,10;
- Antonio Primerano: con oncie 44 d’industria e 71,10 di beni, per un totale di 115,10;
- Domenico d’Aloi: con 32 oncie d’industria e 81,25 di beni, per un totale di oncie 113,25;
- Gio. di Chiera: con oncie 50 d’industria e 56,20 di beni, per un totale oncie 106,20;
- Pietro Rachele: con oncie 36 d’industria e 53,20 di beni, per un totale di oncie 89,20;
- Giuseppe Cirillo: con oncie 58 d’industria e 25 di beni, per un totale di oncie 83,10;
- Dom.co Albanese: con oncie 26 d’industria e 56,20 di beni, per un totale di oncie 82,20;
- Pietro Primerano: con oncie 40 d’industria e 41 di beni, per un totale di oncie 81;
- Bruno Carè: con oncie 30 d’industria e 44,20 di beni, per un totale di oncie 74,20;
- Giuseppe Cavallaro: con oncie 26 d’industria e 47,20 di beni, per un totale di oncie 73,20;
- Bruno di Costa: con oncie 36 d’industria e 37,10 di beni, per un totale di oncie 73,10;
- Bruno di Ciacio: con oncie 18 d’industria e 55 di beni, per un totale di oncie 73;
- Francesco Cirillo: con oncie 14 d’industria e 56,20 di beni, per un totale di oncie 70,20;
- Stefano Cavallaro: con oncie 48 d’industria e 20,10 di beni, per un totale di oncie 68,10;
- Domenico Maiolo: con oncie 38 d’industria e 27,15 di beni, per un totale di oncie 65,15;
- Ilario Iacopetta: con oncie 44 d’industria e 12,10 di beni, per un totale di oncie 65,10;
Appare interessante rilevare che le famiglie sotto le 12 oncie di contribuzione sono veramente pochissime: si riducono a soli 6 capi famiglia che, tra l’altro, risultano veramente in stato di quasi impossidenza, avendo rivelato capacità contributiva da zero a 3,20 oncie. Tra i contribuenti di minimo rilievo vi erano poi anche i “forestieri” (in N.7), i quali pagavano da 2 a 5 oncie. Questi pagavano innanzitutto once 1,50 di Jus habitationis e poco altro, avendo minimi beni nel territorio di Fabrizia. I loro nomi erano i seguenti: Domenico d’Ippolito, Francesco Antonio Pupo e Giambattista Bologna, tutti della Serra; Francesco Coscarello del Laco di Cosenza; Giuseppe Bertucci di Cosenza. Invece nulla risulta che pagassero gli ecclesiastici. Per contro risulta che anche due donne, ambedue vedove, contribuissero notevolmente alle casse dell’erario: Anna Pisani, possidente di 150 capre e più due vacche con oncie 56,20 ed Anna Tassone possidente di 150 pecore, con oncie 50.
Alcune osservazioni d’obbligo riguardano, per primo il numero delle famiglie e nuclei, che da tale censimento si attesta a 160, per n. 697 abitanti. In secondo luogo, la suddivisione tra uomini e donne presenta una elevata disparità in quanto, le donne, in n. 395, rappresenta il 57% circa della popolazione, rispetto a quella maschile, di n. 302, pari a poco più del 43%. Verrebbe da pensare, visto che i capi famiglia sono ovviamente tutti maschi, a parte un numero ridotto di nuclei vedovili e vergini in capillis (un totale di 8 nuclei), che vi fosse una sorta di longevità femminile, con premorienza di maschi. Altrimenti si dovrebbe addurre un’improbabile (ma possibile?) forma di dominio genetico in favore del sesso femminile. L’altra constatazione, che si potrebbe anche associare alla prima, è che per arrivare nei successivi due secoli ad un numero elevato di abitanti, (oltre 6.000) vi sarà stato un incremento di nascite di straordinaria levatura, aggiunto all’arrivo di nuovi nuclei, attratti da un’economia che tutto sommato si dimostra abbastanza florida. Quest’ultima ipotesi, a mio parere, potrebbe risultare avvalorata da un’ulteriore osservazione delle notizie fornite dal documento in esame. In pratica, osservando la grande varietà di cognomi esistenti nel 1746, alcuni oggi scomparsi, si potrebbe azzardare l’ipotesi ulteriore che, a parte le prime emigrazioni oltre regno, vi fosse un costante interscambio, quasi che il borgo di Fabrizia fosse una specie di rifugio temporaneo per motivi di varia natura. Tutto questo, ad un certo punto, subisce una modifica strutturale. La stagionalità potrebbe essersi trasformata in stanzialità. Il borgo dove si pascolava, divenne centro di vita e di lavoro, luogo dove si lavorava la lana, luogo dove era sorta la fabbrica per i rifornimenti militari ed anche luogo scelto quale rifugio dei briganti. L’agricoltura, dal canto suo, svolse il suo vitale compito; cominciò ad essere florida e capace di dare da mangiare alla sempre più numerosa popolazione ed alle sempre più consistenti truppe francesi di occupazione presenti nella località fabriziese della mongiana. Se poi riprendiamo le notizie che ci fornisce Franco Carè nel suo saggio “La cavalera 400 anni di storia di Fabrizia”, confermiamo che vi fu un’esponenziale crescita della popolazione fabriziese. Lo scrittore constata che nel Seicento in Calabria vi fu una “diminuzione degli abitanti nella zona costiera a vantaggio dei centri dell’entroterra” e che al relativo ristagno demografico di quel secolo “seguì nei primi decenni del Settecento, un costante incremento della popolazione che continuò per tutto il secolo XVIII”. Afferma inoltre che “tra il 1595 ed il 1796 la popolazione in Calabria si era quasi raddoppiata” Riporta, poi, i dati tratti dal Manoscritto redatto nel 1794 dal Di Simone, dal quale rileva che la popolazione di Fabrizia era di ben 3.707 unità. Altro che raddoppiata! In questo caso ci troviamo di fronte ad un aumento più che esponenziale. Da centro popoloso con 697 abitanti, raggiungiamo una popolazione che si piroetta verso l’alto. Si può pensare, pertanto, che per giustificare un’accelerazione di crescita così forte, saranno da chiamare in causa più fattori scatenanti. Tuttavia, giustificando con una deduzione combinata, ma puramente intuitiva, viene da pensare che la principale ragione del fenomeno, sarà stata una ponderata e poderosa scelta elettiva alla stanzialità da parte di un consistente numero di “forestieri” stagionali. Il diffondersi della proprietà terriera, con tutta probabilità indebolì la pastorizia e fece crescere l’agricoltura alla quale non poteva che conseguire una crescente stanzialità.
Torniamo a fornire le curiosità relative ai cognomi esistenti nel 1746 all’epoca ed oggi scomparsi, troviamo: Prinzi, Rachele, Ciacio, di Luca Montelione, Bova, Marino, Procopi, Coscarella; poi rammentiamo i forestieri Circosta, d’Ippolito, Bologna, Bertucci. Alcuni altri cognomi hanno, con molta probabilità, soltanto perso il suffisso “di” o “d’”: di Costa, di Fazio, d’Aloi, di Ciancio, di Chiera; di Masi (che diventa Demasi) eccetera.
Tra le 150 famiglie presenti a Fabrizia al momento dello storico censimento, constatiamo che l’attività maggiormente rilevante era quella di massaro di pecore (39), seguivano i braccianti (34), massari di capre (11), custodi di pecore (10) più altre pure legate alla pastorizia. Però troviamo anche un numero relativamente elevato di artigiani: 5 barbieri, 8 sartori e 4 custodi di nevi. Inoltre vi sono ben 7 vaticali (trasportatori) e 6 preti più un arciprete e due diaconi. Come non dire che già da allora cominciava a farsi strada una potenziale crescita demografica, considerando, tra l’altro, che il censimento rileva l’esistenza di ben 166 case, per una popolazione che contava solo 150 nuclei familiari (compresi quelli vedovili, in capillis, preti, diaconi e forestieri).
La “rileva” ci documenta anche l’esistenza di “due mulini funzionanti con l’acqua del fiume Allaro”, oltre che un “battennerio per barcar panni”.
Concludiamo questa breve ricapitolazione delle interessanti notizie trovate nell’Archivio di Stato di Napoli e riproposte con la pubblicazione “Il Catasto Onciario di Fabrizia” (a parte le altre citazioni), ricordando a chi non lo sapesse, che quello che fu fino al 1853 un unico paese, quello dei Carafa della Roccella che prese il nome dal Principe Fabrizio, iniziò a subire uno smembramento: prima con la divisione di diversi territori che divennero il Comune di Mongiana nel 1852 e successivamente, nel 1901, con la costituzione del comune autonomo di Nardodipace.
Un’ultima curiosità (ovvia), in questo mare di tasse (doppio “testatico”: tassa di famiglia e tassa d’industria (che poi era la tassa del lavoro di ogni singolo individuo) i ricchi o “abbienti” ovvero “nobilmente viventi”, naturalmente non pagavano nulla! Il mantenimento dello Stato era gravato sui “possidenti” che pagavano in base alla ricchezza di braccia, bestiame e “stabiletti”, nonchè sulle case o “casematte” possedute da tutti dato che, in una località di montagna, bisognava pure possedere un adeguato ricovero dove poter vivere.